Effetti del fallimento per i creditori

Un commentario

Art 51 l.f.

L’art 51 l.f. pone un divieto per i creditori a decorrere dal giorno della dichiarazione di fallimento di iniziare o proseguire, sui beni compresi nel fallimento, le azioni individuali esecutive o cautelari anche per i crediti maturati durante fallimento.

La norma detta il principio di carattere generale dell’universalità soggettiva, la quale si aggiunge alla universalità oggettiva, derivante dall’art. 42 l.f., e si esprime con la soggezione di tutti i creditori alle norme sulla formazione dello stato passivo; pertanto, tutti i creditori sono sottoposti ad un concorso sostanziale, favorendo così la realizzazione del principio della par condicio creditorum.

Nel divieto sono ricomprese tutte le azioni di carattere esecutivo, sia di pignoramento diretto anche presso terzi sia le esecuzione per consegna e rilascio; sono ricomprese nel divieto anche la procedura esecutiva fiscale, di cui al regio decreto n. 639/1910, nonché l’esecuzione speciale prevista per le sanzioni amministrative, di cui alla legge 689/1981 e il c.d. fermo amministrativo. Se ne sottrae invece il sequestro penale volto alla confisca e ciò sia che sia stato disposto prima che dopo il fallimento.

La norma ha un’estensione più ampia di quella ricavabile dalla interpretazione letterale e comporta che, dopo il fallimento, ogni iniziativa diretta alla ricostruzione del patrimonio del fallito deve essere riservata in via esclusiva all’ufficio fallimentare.

Il curatore è l’unico legittimato a proporre le azioni a tutela della massa e, nel caso in cui siano pendenti azioni dirette alla reintegrazione della garanzia patrimoniale del fallito, promossa da singoli creditori, costoro perdono la legittimazione a proseguire, con la possibilità per il curatore di iniziare ex novo le stesse azioni, qualora non siano ancora prescritte, oppure di riassumere i giudizi interrotti per la dichiarazione di fallimento del debitore.

Il curatore, riassumendo il giudizio interrotto, agisce come sostituto processuale della massa dei creditori a vantaggio di tutti i creditori.

A tal proposito, la Suprema Corte ha affermato che qualora sia stata proposta un’azione revocatoria ordinaria per fare dichiarare inopponibile ad un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore e, in pendenza del relativo giudizio, a seguito del sopravvenuto fallimento del debitore, il curatore subentri nell’azione in forza della legittimazione accordatagli dall’art. 66 l.fall., accettando la causa nello stato in cui si trova, la legittimazione e l’interesse ad agire dell’attore originario vengono meno, onde la domanda da lui individualmente proposta diviene improcedibile ed egli non ha altro titolo per partecipare ulteriormente al giudizio” (Cass. Civ., Sez. Un., 17.12.2008, n. 29420).

Rientrano nell’ambito delle azioni di massa

  • le azioni revocatorie ordinarie
  • le azioni surrogatorie
  • le azioni di nullità e di simulazione
  • le azioni di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci, ex art 2394 c.c. 1

L’art. 107 co 6, l.f. prevede espressamente la facoltà per il curatore di subentrare nelle procedure esecutive pendenti e, in alternativa, la possibilità per il medesimo di richiedere la declaratoria di improcedibilità – che non equivale all’estinzione della stessa, in quanto, con la medesima si preservano, a vantaggio della massa, gli effetti sostanziali del pignoramento.

Analogo carattere conservativo degli effetti derivanti dalla pregressa istallazione di un giudizio, da parte di un creditore, non può verificarsi nel caso in cui il curatore non subentri nell’azione di reintegrazione del patrimonio (realizzabile tramite la riassunzione) ma decida di promuovere ex novo la stessa azione nell’interesse della massa.

In questo secondo caso, la scelta del curatore non potrà neutralizzare gli elementi che incidono negativamente sull’oggetto dell’azione eventualmente verificatisi tra il momento dell’instaurazione della pregressa azione, estinta, ed il momento di decorrenza degli effetti della nuova azione di massa (decadenza, prescrizione, cessione a terzi in buona fede dell’oggetto dell’azione).

La scelta tra subentro e improcedibilità in un azione esecutiva può avere luogo fino alla vendita del bene, operata la quale il curatore può solo subentrare nella assegnazione della somma.

Vi sono alcune eccezioni alla regola della interruzione dell’azione e della devoluzione della stessa al curatore:

  • la prima è quella relativa all’azione esecutiva promossa a seguito di risoluzione di mutuo fondiario: l’art. 41, comma 2, TUB dispone che: “l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia dei finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore“.

La disposizione dà luogo ad un privilegio di carattere meramente processuale, detto anche privilegio di riscossione, che si sostanzia nella possibilità non solo di iniziare o proseguire la procedura esecutiva individuale, ma anche di conseguire dal giudice dell’esecuzione l’assegnazione della somma ricavata dalla vendita forzata.

Tuttavia, resta a carico dell’istituto di credito fondiario, per rendere definitiva la provvisoria assegnazione, l’onere di insinuarsi al passivo del fallimento, in modo tale da consentire la graduazione dei crediti cui è finalizzata la procedura concorsuale.

Con la conseguenza che se la banca non provvede all’insinuazione del suo credito nello stato passivo fallimentare, ovvero ne venga in tutto o in parte esclusa, il curatore potrà ottenere la restituzione di quanto ad essa assegnato nella fase di distribuzione del ricavato della vendita dell’esecuzione individuale

Il possibile conflitto tra l’art 41 co 2 TUB e l’art 107 co 1,2 viene risolto dalla giurisprudenza dando priorità alla procedura che per prima perviene al provvedimento che dispone la vendita, essendo impedito al curatore procedere alla liquidazione diretta nel caso sia già stata disposta la vendita in sede di proc es. individuale, e viceversa essendo impedito dare inizio all’esecuzione individuale speciale all’ist.di credito fondiario dopo che il curatore abbia reso pubblica la vendita fallimentare (in tal senso Cass. 08/09/2011, n. 18436; Cass. 28/01/1993 n. 1025)2;    dunque il potere degli istituti di credito fondiario, di proseguire l’esecuzione individuale sui beni ipotecati anche dopo la dichiarazione di fallimento del mutuatario, non esclude che il giudice delegato possa disporre la vendita coattiva degli stessi beni, perché le due procedure espropriative non sono incompatibili ed il loro concorso va risolto in base all’anteriorità del provvedimento che dispone la vendita

  • la seconda è quella prevista dall’art. 53f., il quale consente al creditore di soddisfarsi procedendo direttamente alla vendita dei beni mobili ricevuti in pegno o gravati dal privilegio di cui agli articoli 2756 e 2761 c.c.;
  • la terza è prevista dall’art 104 ter, ultimo comma, l.f., il quale stabilisce che i creditori possono iniziare azioni esecutive o cautelari sui beni del fallito che il curatore ha ritenuto non conveniente acquisire all’attivo o alla cui liquidazione ha rinunciato.

Non deroga all’art. 51 l.f. la situazione del creditore del terzo che sia munito di garanzia ipotecaria su bene immobile del fallito acquisito all’attivo della procedura (sia nel caso in cui il fallito sia stato terzo datore di ipoteca, sia nel caso che il fallito abbia acquistato un bene ipotecato a favore di un terzo).

Infatti, pur dovendosi ritenere che il creditore ipotecario sia esonerato dall’obbligo di proporre domanda di insinuazione al passivo fallimentare, dopo la dichiarazione di fallimento, costui non potrà promuovere alcuna azione esecutiva singolare sul bene ipotecato ma dovrà limitarsi a intervenire nella fase di ripartizione del ricavato della vendita dei beni eseguita dal curatore fallimentare.

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Art. 52 l.f.

L’art. 52 l.f. dispone che il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito e che ogni credito deve essere accertato in sede fallimentare, compreso i crediti esentati dal divieto di cui all’art. 51l.f..

La norma pone, quindi, il principio della cristallizzazione del passivo e dell’esclusività del concorso formale; ciò allo scopo di realizzare il concorso sostanziale, retto dalle norme dettate dagli artt. 2740 e ss. c.c..

Ai sensi dell’art. 52, comma 2, l.f., il creditore che da concorsuale voglia divenire concorrente deve proporre domanda di ammissione al passivo.

In sede di verifica, il Giudice Delegato deve accertare non solo l’esistenza e l’entità del credito, oltre all’opponibilità alla massa e l’esistenza della causa di prelazione.

Il principio della esclusività del concorso formale determina il necessario trasferimento nella sede speciale di tutte le azioni di accertamento dei crediti concorsuali: il giudice, al quale si è chiesto in sede ordinaria l’accertamento di un diritto di credito contro la massa fallimentare, deve dichiarare non la propria incompetenza ma l’improponibilità della domanda (Cass. Civ. 17891/2004).

Dopo la dichiarazione di improcedibilità, il creditore non potrà nemmeno riassumere il giudizio dinanzi al giudice fallimentare, dal momento che la riassunzione è consentita, ai sensi dell’art. 50 c.p.c., a seguito della dichiarazione di incompetenza e non di improcedibilità; pertanto, il creditore dovrà proporre ex novo la domanda di accertamento, secondo rito speciale, senza poter utilizzare gli effetti processuali e sostanziali conseguiti nella precedente causa.

Infatti, il procedimento che si instaura dinanzi al giudice fallimentare è diverso da quello promosso, in precedenza, contro l’imprenditore insolvente, giacché la controparte del creditore non è più il fallito ma la massa degli altri creditori rappresentata dal curatore fallimentare.

L’art. 52, comma 2, l.f. fa salve alcune deroghe al principio della esclusività del concorso formale che sono comunque di carattere parziale, in quanto relative all‘an ed al quantum (ovverosia l’esistenza e l’entità del credito o della pretesa); diversamente, spetta sempre al Giudice Delegato verificare l’effettiva concorsualità del diritto (vale a dire la sua insorgenza in epoca anteriore al fallito), la sua opponibilità alla massa fallimentare (in quanto non suscettibile di declaratoria di inefficacia), nonché l’eventuale riconoscimento in concreto del privilegio con la relativa graduazione.

Ora, “appartiene alla giurisdizione ordinaria, e non a quella tributaria, la controversia relativa all’ammissione al passivo di un credito di natura tributaria vantato dall’amministrazione finanziaria (nella specie, per imposta di registro), richiesto in via privilegiata ex art. 2758 cc, ma ammesso allo stato passivo, dal giudice delegato, solo in via chirografaria (per mancato rinvenimento del bene sul quale il privilegio dovrebbe esercitarsi), ove l’atto impositivo non sia in contestazione, ma si ponga come titolo di ammissione al passivo, recepito dal decreto con cui il giudice delegato dichiara l’esecutività dello stato passivo” (Cass. Civ., Sez. Un., 23.01.2004, n. 1230).

L’unica norma che stabilisce deroghe è costituita dall’art. 96 l.f., il quale al n. 3 del comma 3, dispone che: “sono ammessi al passivo con riserva i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato pronunciata prima della dichiarazione di fallimento“.

La ratio della norma è stata individuata non tanto allo scopo di evitare un possibile contrasto fra giudicati, quanto, piuttosto, nel cosiddetto principio di conservazione dell’attività giurisdizionale, vale a dire, nell’opportunità di conservare gli effetti dei provvedimenti decisori emessi prima del fallimento evitando così la regressione del processo (Cass. Civ. 28481/2005).

Nel caso in cui, al momento della dichiarazione di fallimento sia stata già emessa una sentenza del giudice ordinario o speciale ancora impugnabile e venga contestata l’ammissione del credito in essa accertata, questo deve essere ammesso con riserva con il corrispondente onere, per il curatore, di proporre o proseguire il giudizio di impugnazione dinanzi a quel giudice in sede extra fallimento.

Qualora, invece, la sentenza sia già passata in giudicato, il curatore non potrà più contestare il diritto accertato ma potrà sempre opporsi all’ammissione al passivo eccependo l’inefficacia, nei confronti della massa fallimentare, del titolo su cui si fonda il credito – il cui accertamento spetta, invece, al giudice fallimentare nell’ambito dello speciale procedimento concorsuale.

Pacificamente è riconosciuto che il decreto ingiuntivo opposto, o del quale alla data del fallimento penda il termine per l’opposizione, anche se munito di provvisoria esecutività, non è equiparabile alla sentenza non passata in giudicato; in questo caso, infatti, non vale la deroga prevista dall’art. 96 l.f..

Sul punto, la giurisprudenza ha enunciato che “il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato sostanziale, idoneo a costituire titolo inoppugnabile per l’ammissione al passivo, soltanto a seguito della dichiarazione di esecutività ai sensi dell’art. 647 c.p.c. – non essendo equiparabile, sotto questo profilo, alla sentenza non irrevocabile (art. 96, 2º comma, n. 3, l.fall., già art. 95, 3º comma, nel testo anteriore al d.leg. del 9 gennaio 2006 n. 5) – per cui non è ammissibile l’accertamento incidentale, in sede di giudizio di verificazione, dell’esecutività definitiva del decreto ingiuntivo sprovvisto del visto di esecutorietà previsto dall’art. 647 c.p.c., con la conseguenza che, in mancanza, il decreto ingiuntivo, seppur non opposto, è inopponibile alla massa dei creditori” (Cass. Civ., Sez. I, 11.10.2013, n. 23202).

L’inopponibilità alla massa del decreto ingiuntivo opposto determina l’inefficacia anche della ipoteca giudiziale.

Deve essere restituito anche quanto pagato in forza di un Decreto Ingiuntivo provvisoriamente esecutivo oggetto di opposizione.

Ciò, in considerazione del fatto che “in caso di inefficacia del decreto ingiuntivo a causa della dichiarazione di fallimento del debitore ingiunto, sopravvenute nelle more del giudizio di opposizione, che impongono al creditore opposto di partecipare al concorso con gli altri creditori mediante domanda di ammissione al passivo, il pagamento ricevuto dal creditore in forza della provvisoria esecuzione di quel decreto non trova più alcuna giustificazione, né nel titolo, divenuto inefficace, né nel credito, contestato e non accertato; in tal caso, la domanda di ripetizione di ciò che sia stato corrisposto dall’imprenditore insolvente deve considerarsi implicita nella richiesta degli organi della procedura di declaratoria di improseguibilità dell’azione di pagamento nei confronti di quest’ultimo, posto che una siffatta istanza, se accolta, determina di per sé l’esigenza di ripristino della situazione patrimoniale antecedente, indipendentemente dall’accertata esistenza di un indebito oggettivo (in applicazione di tale principio, la suprema corte, nel rigettare il ricorso, ha escluso che la domanda di restituzione formulata dal commissario liquidatore al momento del suo intervento nel processo fosse da considerarsi nuova) (Cass. Civ., Sez. I, 12.02.2013, n. 3401).

Dunque, in presenza di una sentenza non passata in giudicato si profilano tre diverse posizioni del curatore:

1) il credito è contestato nell’an o nel quantum: il credito va ammesso con riserva in sede di verifica, salvo impugnazione della sentenza;

2) il curatore contesta solo l’opponibilità del diritto, ma non la sua sussistenza: non c’è necessità di impugnare la sentenza ed il credito va escluso in sede di verifica;

3) il curatore contesta l’esistenza e l’opponibilità del credito: il credito va escluso, il curatore deve impugnare la sentenza ed il creditore deve proporre opposizione nell’ambito endofallimentare.

Una seconda deroga si ricava, sempre dall’art 96 l.f., mediante il riferimento al “giudice speciale”, da cui può desumersi che sono sempre sottratti all’accertamento del giudice fallimentare i crediti non sottoposti alla giurisdizione dell’A.G.O., quando, nella fase di verifica, venga contestata l’esistenza e l’ammontare del credito insinuato.

In queste ipotesi, dopo l’ammissione con riserva (anche quando non vi sia ancora stata una sentenza di primo grado), la decisione sull’accertamento del credito sarà sempre devoluta alla giurisdizione dei giudici speciali – quali il giudice tributario, il giudice amministrativo e la corte dei conti -, con l’onere per il curatore di promuovere il giudizio dinanzi al competente giudice speciale (Cass., Sez. Un., 12371/2008).

Pertanto, “in tema di fallimento, nelle ipotesi in cui venga chiesta l’ammissione al passivo di un credito il cui accertamento è devoluto alla giurisdizione della corte dei conti, e l’ammissione sia contestata, non viene meno il potere del giudice fallimentare di ammettere il credito con riserva, essendo gli organi fallimentari tenuti a considerare il credito come condizionale ed a sciogliere la riserva in relazione all’esito del processo dinanzi al giudice competente, sì da consentire al creditore la partecipazione al riparto mediante accantonamento” (Cass. Civ., Sez. Un., 16.05.2008, n. 12371).

Nel caso in cui “il curatore fallimentare non contesti l’an ed il quantum debeatur, ma solo la idoneità dell’avviso a giustificare l’insinuazione, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario (sezione fallimentare) l’ammissione al passivo di un credito iva comunicato con l’invito al pagamento di cui all’art. 60, 6º comma, d.p.r. n. 633 del 1972 (relativo alla imposta non versata, risultante dalla dichiarazione annuale, o alla maggiore imposta determinata a seguito della correzione di errori materiali o di calcolo rilevati dall’ufficio in sede di controllo della dichiarazione)”(Cass. Civ., Sez. Un., 04.03.2009, n. 5165).

A questo punto, occorre esaminare due questioni particolari:

  • la prima relativa alla legittimità del debitore convenuto in giudizio dal curatore di eccepire la compensazione, al solo scopo di paralizzare la domanda della curatela fallimentare.

Sul punto, la Suprema Corte ha enunciato che “in tema di compensazione, nel caso in cui alla domanda della curatela di un fallimento per la riscossione di un credito sia contrapposta domanda riconvenzionale riguardante un controcredito, il giudice di merito, accertati gli stessi, è tenuto a dichiarare la compensazione, ove richiesta, dei reciproci debiti e sino alla loro concorrenza; tale conclusione deriva dall’applicazione dell’art. 56 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (c.d. legge fallimentare)” (Cass. Civ., Sez. III, 13.01.2009, n. 481). Oltre a ciò, va precisato che “nel giudizio proposto dalla curatela fallimentare per la condanna al pagamento di un debito di un terzo nei confronti del fallito, l’eccepibilità in compensazione di un credito dello stesso terzo verso il fallito non è condizionata alla preventiva verificazione di tale credito, purché sia stata fatta valere come eccezione riconvenzionale” (Cass. Civ., Sez. I, 09.01.2009, n. 287).

In altri casi, invece, il debitore oppone una domanda riconvenzionale: in questo caso, la Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. Un., 23077/2004; Cass. Civ., Sez. Un.,21.500/2004; Cass. Civ., Sez. Un., 21.499/2004) ha stabilito la necessità che la domanda riconvenzionale del creditore in bonis, per la quale opera il rito speciale esclusivo dell’accertamento del passivo, dev’essere dichiarata inammissibile o improcedibile nel

giudizio di cognizione ordinario, e riproposta con domande di insinuazione al passivo da parte del creditore in bonis; diversamente, la domanda proposta dal curatore resta davanti al giudice per essa competente con la possibilità, in sede di opposizione allo stato passivo, di riunire le due cause, ex art. 274 c.p.c., davanti al giudice fallimentare.

Pertanto, nel caso in cui, “nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all’accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto – ovvero quando, in un processo promosso da soggetto in bonis per ottenere il pagamento di un proprio credito, il convenuto si costituisca e proponga domanda riconvenzionale per il pagamento di un credito nascente dal medesimo rapporto contrattuale e, a seguito del suo fallimento, il curatore si costituisca per coltivare la riconvenzionale stessa – la suddetta domanda del creditore in bonis, per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell’accertamento del passivo ai sensi degli art. 93 seg. l.fall., deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria; se, dopo l’esaurimento della fase sommaria della verifica, sia proposto dal creditore giudizio di opposizione allo stato passivo o per dichiarazione tardiva di credito ed anche la causa promossa dal curatore penda davanti allo stesso ufficio giudiziario, è possibile una trattazione unitaria delle due cause nel quadro dell’art. 274 c.p.c., ove ne ricorrano gli estremi; possibilità che sussiste anche quando le due cause siano pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi potendo trovare applicazione i criteri generali in tema di connessione se non si siano verificate preclusioni e sempre che il giudice davanti al quale il curatore ha proposto la sua domanda non sia investito della competenza per ragioni di competenza inderogabile, dovendo la translatio comunque aver luogo nella sede fallimentare; qualora non si possa giungere a questo risultato, va verificata la sussistenza dei requisiti per l’applicazione dell’art. 295 c.p.c., fermo restando che la sospensione deve riguardare la causa promossa in sede ordinaria”(Cass. Civ., Sez. Un., 10.12.2004, n. 23077).

  • il secondo punto da analizzare attiene al caso in cui fallimento sia terzo datore di ipoteca e che, dunque, a beneficiare dell’ipoteca sul bene compreso nel fallimento non sia il creditore del fallito, ma del terzo garantito dal fallito: di recente, la Suprema Corte ha ribadito l’orientamento secondo cui il titolare dell’ipoteca non può avvalersi del procedimento di verificazione, riservato dall’art. 52 l.f., ai creditori del fallito.

Pertanto, “i titolari di diritti di prelazione (nella specie, d’ipoteca) su beni immobili compresi nel fallimento, e già costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito, non possono avvalersi del procedimento di verificazione di cui all’art. 52 l.fall., il quale non sottopone a concorso la posizione soggettiva del terzo, che non è creditore diretto del fallito; né è configurabile un’ammissione atipica al passivo, che sia circoscritta ai soli beni oggetto della predetta garanzia, valendo per la loro realizzazione in sede esecutiva, in virtù del richiamo di cui all’art. 105 l.fall., le modalità di cui agli artt. 602-604 c.p.c. in tema di espropriazione contro il terzo proprietario” (Cass. Civ., Sez. I, 19.05.2009, n. 11545).

La Suprema Corte (Cass. Civ., 11545/09; Cass. Civ., 2429/09) ha riconosciuto, peraltro, che la verifica in sede concorsuale del titolo di prelazione fondante la responsabilità del fallito deve avvenire in via posticipata nella fase di liquidazione del bene gravato, trovando tale assunto una positiva conferma nell’art. 107, comma 3, l.f., il quale pone l’obbligo al curatore di informare, prima della vendita, ciascuno dei creditori ipotecari o, comunque, muniti di privilegio – mentre questi ultimi soggetti non vengono menzionati nell’art. 92 l.f. -dell’avviso che lo stesso curatore deve inviare ai creditori e agli altri interessati nella fase di formazione dello stato passivo.

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Art 53 l.f.

L’art. 53 l.f. prevede, e disciplina, una delle deroghe al divieto poste dall’art. 51 l.f. di soddisfarsi direttamente sui beni del debitore; infatti, detta norma prevede che i crediti garantiti da pegno, o assistiti da privilegio secondo gli articoli 2756 e 2761 c.c., possano essere realizzati anche durante il fallimento; tali crediti non si sottraggono, tuttavia, alla regola del concorso formale, il quale impone il loro accertamento secondo le regole del concorso.

Privilegi speciali: artt. 2756 / 2761 c.c.

I crediti contemplati da questa deroga sono dotati di privilegio processuale.

Tali crediti sono: il credito da prestazioni e spese di conservazione e miglioramento di beni mobili, ex art. 2756, il quale comprende le somme erogate per la custodia, senza le quali il bene sarebbe perito o deteriorato; le somme dovute per la riparazione (di autoveicolo o la manutenzione dell’hardware di un computer); ai sensi dell’art. 2761, comma 4, c.c., il credito del trasportatore, del mandatario dello spedizioniere, i crediti derivanti dal contratto di deposito o dal sequestro convenzionale.

Questi crediti si caratterizzano per il possesso, derivante dal diritto di ritenzione, e la facoltà per i creditori di procedere alla vendita forzata, attraverso cui si esercita una autotutela esecutiva – tale autotutela è piena nei confronti del debitore in bonis ed attenuata in sede fallimentare.

Dalla previsione dell’art. 53 l.f., l’attivazione dell’esercizio della tutela avviene attraendo il credito nell’ambito del regime autorizzativo dell’ufficio fallimentare, e consentendo la soddisfazione del creditore, al di fuori del concorso sostanziale, in deroga al divieto di azioni esecutive ex art. 51 l.f..

Le condizioni per l’esercizio dell’autotutela esecutiva sono: 1) l’ammissione al passivo con prelazione; 2) l’autorizzazione degli organi della procedura.

Pertanto, non vi è nessuna sottrazione al concorso formale ed, anzi, la vendita in assenza di ammissione al passivo, o di autorizzazione, è nulla con l’obbligo del creditore di restituire il ricavato della vendita.

Pegno

Per quanto riguarda il credito pignoratizio è necessario, innanzitutto, che il creditore abbia il possesso e che sappia opporre la prelazione ai creditori, attraverso una scrittura avente data certa contenente il requisito sostanziale della sufficiente indicazione della cosa e del credito garantito.

Quanto alla data certa, occorre osservare che, in base all’art. 2787 c.c., il pegno risultante da polizza, od altra scrittura di enti che compiono professionalmente operazioni di credito su pegno, la data della scrittura può essere accertata con ogni mezzo e, quindi, anche a mezzo testimoni o presunzione: non basta la indicazione di una data di registrazione della scrittura privata sul libro dei pegni.

Per quanto riguarda la sufficiente indicazione del credito, nella prassi bancaria il requisito risulta un po’ svaporato nel caso di pegno omnibus o pegno a garanzia di crediti futuri, il quale garantisce il credito “in essere o che dovesse sorgere a favore della banca verso il debitore rappresentato dal saldo passivo di conto corrente e/o dipendenti da qualunque operazioni bancarie” .

La validità e l’opponibilità di tale clausola si fonda, in primo luogo, sul principio di determinabilità dell’oggetto del contratto, il quale può essere anche rinviato ad un documento successivo; in secondo luogo, sull’applicabilità analogica dell’art. 2852 c.c., secondo cui l’ipoteca è per crediti futuri: la norma, infatti, non parla di esaustività ma di sufficiente descrizione del credito.

Riguardo alla determinabilità dei beni costituiti in pegno, il requisito è volto ad evitare che sia possibile sostituire il bene con un altro di maggior valore.

Anche in tal caso, la prassi bancaria conosce l’ipotesi di pegno costituito su tutti i titoli e beni mobili comunque detenuti dalla banca o pervenuti a disposizione; tale clausola sarebbe nulla per indeterminatezza dell’oggetto del pegno.

Può accadere che il fallito non sia il debitore, ma che sia terzo datore di pegno: così come per l’ipoteca, la giurisprudenza maggioritaria è dell’opinione che, in questo caso, il creditore non debba depositare domanda di ammissione al passivo, anche se quest’opinione non è unanime, in quanto, parte della dottrina ritiene che l’accertamento del passivo riguardi necessariamente anche l’ammontare del credito vantato dal creditore pignoratizio nei confronti del soggetto non fallito – tale tesi se accolta depone per l’ammissione al passivo anche del creditore nel fallimento del terzo datore di pegno.

Nel mondo economico si assiste a diverse forme di pegno; le due più importanti sono il pegno rotativo (frequente nella prassi bancaria; la clausola è ritenuta valida laddove il patto risulti da scrittura costitutiva del pegno ed il bene offerto in sostituzione sia di valore non superiore a quello originario) ed il pegno sui titoli di credito (il quale viene assimilato a una res mobile, ex art. 812 c.c., e, dunque, si ritiene che, secondo l’art. 2786 c.c., per la valida costituzione occorrano i requisiti ordinari con l’indicazione della natura del titolo e dell’ammontare dell’obbligazione nell’atto costitutivo. Ciò vale soprattutto per i titoli di credito al portatore; in caso di titoli di credito all’ordine, il pegno si costituisce, ai sensi degli articoli 2014 c.c. e 23 legge cambiaria, in virtù di una serie continua di girate).

Pegno su strumenti finanziari: tale pegno ha come oggetto azioni o altri titoli rappresentativi di capitale di rischio, obbligazioni e titoli di Stato, libretti certificati di deposito al portatore. Gli strumenti finanziari devono essere depositati presso la banca in un deposito amministrato e devono costituire oggetto di una gestione patrimoniale.

Il pegno su strumenti finanziari dematerializzati si costituisce con la registrazione (che ha funzione di spossessamento) in appositi conti tenuti presso la banca, secondo quanto richiesto dalla normativa di riferimento costituito dal D. lgs 58/98 T.U.F.

Pegno sul credito: quando oggetto del pegno sono crediti, la garanzia si costituisce con atto scritto e con la notifica al debitore del credito dato in pegno, ovvero con l’accettazione del debitore stesso con scrittura avente data certa; non è richiesto il requisito della sufficiente indicazione della cosa data in pegno, in quanto la notifica identifica senza possibilità di dubbio il credito assoggettato a pegno.

Pegno irregolare: si tratta di un’eccezione all’applicazione dell’art.53 l.f.; il pegno irregolare riguarda unicamente danaro o altri beni fungibili di cui il creditore acquista la proprietà al momento del passaggio dal possesso. La causa del pegno irregolare viene rinvenuto in una compensazione implicita ed il creditore titolare del pegno non deve insinuarsi al passivo del fallimento.

Abbiamo visto che il creditore non può esercitare la prelazione attraverso la vendita diretta ma deve sempre passare dalla autorizzazione del giudice delegato, senza la quale la vendita è inefficace.

La norma prevede la possibilità che il curatore riprenda le cose sottoposte a pegno pagando il creditore, in questo caso il pagamento sarà in prededuzione.

Un altro punto che merita attenzione è che il ricavato della vendita fuori dal concorso, da parte del creditore, ha natura provvisoria, in quanto il creditore è sì autorizzato a vendere i beni ma non ha alcun diritto di incamerare il prezzo, al di fuori del piano di riparto, dovendo restituire il ricavato della vendita al curatore.

La recente giurisprudenza si è orientata nel ritenere che, tutto il ricavato della vendita concesso in pegno vada restituito al curatore (Cass. Civ. 1768/1979).

L’art. 53 l.f., infatti, non attribuisce al creditore pignoratizio un potere di autotutela analogo a quello spettante al di fuori del fallimento, in quanto, oltre al previo accertamento del credito e del diritto di prelazione in sede di verifica, l’autorizzazione del creditore al realizzo del pegno incontra la concorrente legittimazione del curatore, e comunque comporta che il ricavo del realizzo sia distribuito nel piano di riparto dell’attivo, con il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione.” (A. Torino, 26-01-2011).

Peraltro, “in sede di ammissione del credito al passivo compete al Giudice l’accertamento dell’esistenza del credito e della correlativa causa di prelazione, mentre l’effettiva sussistenza dei beni oggetto del privilegio e la graduazione dei crediti deve essere effettuata in sede di riparto (Cass. S.U., 20/12/2001, n. 16060; Cass. 19/04/2001, n. 5769). Invero il progetto di riparto può aver ad oggetto le questioni relative alla graduazione dei vari crediti e all’ammontare della somma distribuita (L. Fall., art. 110, comma 3), con esclusione di qualsiasi questione relativa all’esistenza, qualità e quantità dei crediti e dei privilegi, atteso che tali ultime questioni – per la correlazione esistente tra le subprocedure di accertamento del passivo e di riparto dell’attivo liquidato – devono essere proposte, a pena di preclusione, con le forme impugnative e contenziose dello stato passivo esecutivo” (Cass. Civ. 03.02.2006, n. 2438; Cass. Civ., Sez. I, 18.12.2006, n. 27044).

Occorre osservare che, seppure i creditori dotati di pegno vanno soddisfatti in preferenza sui creditori prededucibili, a norma dell’art. 111 bis, comma 2, l.f., essi non sono esentati dal pagamento, secondo un criterio proporzionale, della quota delle spese generali della procedura imputabile a ciascun bene, primi fra tutti quelle relative al compenso del curatore.

Consentire la soddisfazione del creditore pignoratizio in via definitiva, al di fuori del riparto, significa di fatto esentarlo dal sostenere le menzionate spese, almeno allorquando il bene sia insufficiente o appena sufficiente a coprire il credito ammesso al passivo.

Il decreto-legge 170/2004 ha introdotto nuove forme di garanzie reali atipiche cosiddetti contratti di garanzie finanziarie: questi sono contratti di pegno aventi ad oggetto l’attività finanziaria con funzione di garanzia utilizzati in adempimento di obbligazioni finanziarie (compreso il contratto di “pronti contro termine” e strumenti derivati).

Le attività finanziarie, secondo l’art. 1 della succitata legge, sono il contante o gli strumenti finanziari, i crediti e le altre attività accettate in garanzia di tali operazioni.

Caratteristica di questi strumenti di garanzia è la piena liceità del trasferimento della proprietà della garanzia, in deroga al patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c.

L’elemento formale richiesto è unicamente la forma scritta, che può essere fornita anche attraverso la registrazione degli strumenti finanziari sui conti gli degli intermediari (per forma scritta si intende qualunque forma elettronica); diversamente, non è richiesta la prova della data certa.

La garanzia può essere immediatamente eseguita, anche in caso di procedura concorsuale, con l’unico obbligo di informare gli organi della procedura.

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Art 54 l.f.

L’articolo 54 l.f. (e in parte il 55 l.f.) tratta dei crediti privilegiati e deve essere letto in correlazione con l’art. 111 quater l.f., il quale detta due principi:

  1. a) i crediti muniti di privilegio generale e mobiliare speciale concorrono sul patrimonio mobiliare del debitore in un’unica graduatoria, secondo gli articoli 2746, 2777 e 2778 c.c., secondo la collocazione e il grado previsto dalla legge,
  2. b) per quanto riguarda i diritti garantiti da ipoteca, pegno o privilegio speciale, i medesimi hanno diritto di prelazione sul prezzo ricavato dai beni vincolati alla loro garanzia.

L’art. 54 l.f., a propria volta, detta altri principi fondamentali per il soddisfacimento dei creditori privilegiati:

1) per la parte ancora a loro dovuta, e non soddisfatta attraverso la liquidazione dei beni su cui insiste la causa di prelazione, concorrono con i creditori chirografari;

2) hanno diritto a concorrere anche nelle ripartizioni che si eseguono prima della distribuzione del prezzo dei beni vincolati alla loro garanzia;

3) l’estensione del diritto di prelazione agli interessi è regolata dagli artt. 2749, 2788 e 2855 del Cod. civ.;

4) per i crediti assistiti da privilegio generale, il decorso degli interessi cessa alla data del deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto anche in via parziale.

La disciplina degli interessi dei creditori privilegiati mobiliari speciali e generali.

Gli interessi che assistono i crediti privilegiati godranno del tasso convenzionale dello stesso privilegio, secondo l’art. 2749 c.c., per l’anno in corso alla data di fallimento e per quello dell’anno precedente; mentre per gli interessi post fallimentari, il privilegio è garantito nella misura legale: i) sino alla data della vendita per i privilegiati speciali, ii) sino alla data del deposito del riparto per i privilegiati generali.

Per l’anno in corso alla data del pignoramento o fallimento deve intendersi non già l’anno solare, nel corso del quale è intervenuta la dichiarazione di fallimento, bensì l’arco temporale decorrente dalla data di insorgenza del debito per interessi.

Per la data della vendita deve intendersi quella del decreto di trasferimento e non la data di aggiudicazione.

L’art. 54 l.f. dispone che per la parte non soddisfatta, il credito degrada a chirografo, con conseguente diritto di concorso con gli altri creditori chirografari; l’art. 54 l.f. non è richiamato dall’art. 169 l.f., con la conseguenza che, in caso di concordato preventivo, ove non previsto nella proposta, il privilegio insoddisfatto dalla vendita dei beni su cui insiste la garanzia, non concorrere con i chirografari conservando il grado di privilegio che gli è proprio (Corte d’Appello di Torino 23.04.10).

La disciplina degli interessi nei crediti ipotecari e pignoratizio.

Per i creditori ipotecari, la norma richiama l’art. 2855, comma 2, c.c., con la conseguenza che saranno al privilegio gli interessi convenzionali per i due anni precedenti il fallimento e per l’anno in corso, mentre il credito maturerà successivamente gli interessi al tasso legale fino alla vendita3.

Occorre segnalare che, l’enunciazione della misura degli interessi, nella nota di iscrizione ipotecaria, costituisce condizione per l’estensione della prelazione e, dunque, senza la produzione della nota di iscrizione ipotecaria, il giudice non può ammettere al passivo interessi con prelazione neppure nella misura legale.

Secondo l’opinione maggioritaria, la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi e non a quelli moratori che svolgono funzione risarcitoria conseguente alla mora, a decorrere dalla quale, se anteriore al fallimento, decorreranno soltanto gli interessi legali.

Il criterio dell’attribuzione della prelazione agli interessi del credito pignoratizio segue la stessa logica di quello ipotecario.

Per gli interessi generati da crediti tributari è da condividere la tesi, secondo cui la misura legale degli interessi, di cui all’art. 2749 c.c., è quella prevista in generale dall’art. 1284 c.c., e non anche l’eventuale diverso tasso previsto in misura superiore da leggi speciali; ciò in ossequio al principio della parità di trattamento dei creditori che, in questa materia, prevale sulla legislazione speciale in materia tributaria (vi è, tuttavia, giurisprudenza -anche Tribunale di Milano 15.07.82- secondo cui “misura legale” è quella fissata da qualsiasi norma di legge ancorché tributaria.)

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Art 55 l.f.

L’art. 55 l.f. stabilisce, innanzitutto, il principio della sospensione degli interessi dei crediti chirografari.

Peraltro, detta norma stabilisce che si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione di fallimento i debiti pecuniari del fallito.

Il 3° comma del succitato articolo prevede l’ammissione dei crediti condizionali, comprendendo anche quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non previa escussione di un obbligato principale.

Innanzitutto, la regola della sospensione degli interessi è regola che vale non solo per il fallimento ma anche per il concordato che richiama tale norma.

Il richiamo nella normativa del concordato comporta sia l’applicazione dell’interruzione degli interessi per i creditori con privilegio generale, a decorrere dal primo riparto, sia l’applicazione della regola che considera scaduto il debito pecuniario del fallito – con la conseguenza che non potrà essere considerato rapporto pendente, ex art. 72 l.f., anche ai fini del concordato, nessun rapporto nel quale la prestazione del creditore in bonis sia già esaurita e che prevede la rateizzazione della prestazione del debitore poi fallito.

Presupposto per la condizionalità del credito è che esso sia anteriore al fallimento, dovendosi escludere i crediti eventuali o futuri od i crediti di regresso sorti successivamente al fallimento.

La partecipazione al concorso dei crediti condizionali costituisce, in qualche modo, una deroga al principio generale della cristallizzazione del passivo alla data del fallimento, in quanto il credito condizionato prevede che uno degli elementi costitutivi il suo perfezionamento non sia ancora avvenuto ad esistenza: si pensi al credito verso il fideiussore fallito, ovvero verso il socio illimitatamente responsabile.

Tale regola, peraltro, è coerente con l’art. 1360 c.c. e con il principio di retroattività dell’avveramento della condizione.

I crediti condizionali partecipano al concorso essendo ammessi con riserva e danno diritto all’accantonamento.

Il credito tributario iscritto a ruolo, sul quale vi sono contestazioni, è ammesso al passivo con riserva, in ragione della riserva di giurisdizione attribuita alle commissioni tributarie, per cui il giudice delegato non può decidere circa la fondatezza della pretesa tributaria.

Ciò era già previsto, in forza dell’interpretazione dell’art. 45 d.p.r. 602/73 data dalla Cassazione Civile Sezioni Unite, (n. 15715/2001), ma è stato chiarito con il decreto legislativo 46/1999, che ha riformulato gli articoli 87 e 88 d.p.r. 602/73.

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Art. 56 l.f.

L’art. 56 l.f. disciplina gli effetti della compensazione nel fallimento e costituisce, sostanzialmente, un’eccezione alle regole del concorso, in quanto consente al creditore di compensare il proprio credito con altrettanti debiti ottenendo, pertanto, una soddisfazione integrale della propria pretesa.

La compensazione può essere legale o giudiziale.

La compensazione legale è un modo di estinzione dell’obbligazione diversa dall’adempimento.

La condizione principale per la compensazione legale è la reciprocità dei debiti contrapposti; inoltre, è necessario che essi siano certi (non contestati), liquidi (determinati nel loro ammontare), esigibili (con termine scaduto), omogenei (siano obbligazione della stessa natura e quindi per lo più debiti pecuniari), e derivanti da rapporti fra loro autonomi (nel senso che non si tratta di autentica compensazione allorché l’azzeramento dei debiti si compia in virtù di una mera sommatoria fra dare e l’avere nell’ambito di un medesimo rapporto, ad esempio, di conto corrente).

La compensazione giudiziale presuppone che il soggetto che la eccepisce sia titolare di un credito non ancora liquido ma di pronta e facile liquidazione.

La compensazione deve sempre essere eccepita dalla parte che ne ha interesse e non può essere rilevata d’ufficio dal giudice (art. 1242, comma 1, c.c.).

Nel fallimento, la compensazione può avvenire anche in relazione a crediti verso il fallito che non siano ancora scaduti al tempo del fallimento – ipotesi che costituisce una deroga alla disciplina della compensazione regolata dall’art. 1243 co. 1 c.c..

Un’altra osservazione che occorre fare è quella secondo cui, la compensazione può sempre essere eccepita dal creditore, indipendentemente dalla circostanza che il proprio credito sia già stato ammesso allo stato passivo ed anche nel caso in cui il proprio credito non sia transitato attraverso la verifica del passivo; pertanto, potrà essere eccepita nei confronti del curatore che agisce nei suoi confronti per la riscossione di un credito.

Non può, invece, essere compensabile il credito sottoposto a condizione né il credito/debito della massa

La regola generale della compensazione fallimentare prevede che i crediti, ancorché non scaduti, siano preesistenti al fallimento o discendano da un titolo anteriori: è, pertanto, escluso che possa opporsi in compensazione un credito concorsuale con un credito della massa sorto dopo la dichiarazione di fallimento.

Non vi può essere compensazione tra il credito verso il fallito e quello del curatore, derivante dal fruttuoso esperimento dell’azione revocatoria: in questo caso, infatti, il curatore agisce come terzo rispetto alla massa e non come successore del fallito e, dunque, fa valere un diritto sorto con la dichiarazione di fallimento che non può essere compensato con un diritto di credito concorsuale.

È stato detto che, affinché operi la compensazione non è necessario che il debito in sé si sia formato prima del fallimento, purché, però, il titolo sia anteriore (ne è un esempio applicativo la compensazione prevista dall’art. 72 quater, comma 3, l.f., in cui per legge il credito vantato alla data del fallimento si compensa con quanto ricavato dalla vendita del bene).

Non è possibile la compensazione fra il credito verso il fallito ed il debito derivante dall’obbligo di restituzione di un pagamento ricevuto in corso di procedura e, quindi, inefficace, ex art. 44 l.f.

La compensazione viene normalmente dedotta in sede di accertamento del passivo ed il giudice è tenuto a pronunciarsi, sulla citata eccezione, accogliendola (e in tal caso il credito è ammesso per la differenza) o rigettandola (e in tal caso il credito è ammesso per l’intero importo originario).

In ogni caso, il curatore è tenuto a verificare non solo la sussistenza del titolo del credito compensato, ma anche la sua validità ed efficacia con la conseguenza che, ove il curatore non eccepisca alcunché in ordine alla validità ed efficacia del titolo compensato si forma su di esso un giudicato endofallimentare che opera in ogni eventuale giudizio promosso per contestare l’esistenza, la validità o l’efficacia del titolo dal quale deriva il credito opposto in compensazione.

A riguardo, la giurisprudenza ha enunciato che ”quando il creditore deduce la compensazione ed insinua al passivo il suo residuo credito, l’indagine del giudice delegato investe non solo il titolo dal quale deriva il credito compensato, ma anche la sua efficacia e validità; pertanto, dall’accertamento della compensazione, implicito nel provvedimento del giudice delegato che, senza altro aggiungere, ammette il creditore al passivo per l’importo del credito residuo, discende una preclusione endofallimentare che, atteso il carattere unitario della procedura e la strumentalità alla liquidazione delle azioni di massa, opera anche nei giudizi promossi dal fallimento per impugnare l’esistenza, la validità o l’efficacia del titolo dal quale deriva il credito opposto in compensazione” (Cass. Civ., Sez. I, 08.07.2004, n. 12548).

Peraltro, “l’effetto preclusivo determinato dal decreto di esecutività dello stato passivo fallimentare non più impugnabile ha per oggetto oltre che la domanda, il titolo da cui origina il credito, sotto i concorrenti profili della validità, dell’efficacia e della consistenza; pertanto, dedotta la compensazione da parte della banca con un controcredito del fallito avente ad oggetto alcuni accreditamenti, il curatore non può in separato giudizio contestare l’efficacia degli accreditamenti sul presupposto della loro revocabilità” (Cass. Civ., Sez. Un., 14.07.2010, n. 16508)

Quindi il curatore non potrà più chiedere la revoca di un pagamento se il creditore in sede di ammissione al passivo ha ridotto la propria pretesa creditoria proprio in ragione del pagamento ricevuto nel periodo sospetto permettendo, così la formazione di un giudicato endofallimentare a sé favorevole.

Accade, con una certa frequenza, che una società trasferisca ad una consociata il proprio credito verso un soggetto insolvente, favorendo così la collegata che si trovasse in posizione debitoria verso il medesimo soggetto.

L’operazione è assolutamente lecita, salvo il caso che il credito ceduto non fosse scaduto al momento del fallimento e che la cessione sia avvenuta nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.

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Art 61 l.f.

1) l’art. 61 l.f., come l’art 1299 c.c., prevede il regresso solo in caso di pagamento integrale;

2) l’art 61, comma 2, l.f. introduce un’eccezione al principio di cristallizzazione, permettendo il regresso tra coobbligato falliti che abbiano pagato dopo il fallimento.

3) l’art 61 comma 2, l.f. si rivolge anche al creditore in bonis a condizione che abbia pagato prima del fallimento: l’osservazione si ricava dal punto in cui la norma dispone il diritto di “concorrere nel fallimento” che per il principio di cristallizzazione è riconosciuto soltanto ai creditori anteriori: “il fideiussore che abbia pagato il debito dopo il fallimento del debitore principale può esercitare nella procedura concorsuale soltanto l’azione surrogatoria e non quella di regresso, più ampia e comprensiva degli interessi e delle spese sostenute, poiché, ai sensi dell’art. 55 l.fall., la dichiarazione del fallimento sospende il corso degli interessi; comportando l’azione di surroga un mutamento meramente soggettivo nella persona del creditore, senza incidere sulla qualità e quantità del credito, deve escludersi che l’insinuazione al passivo del fideiussore possa porsi in contrasto con il principio di cristallizzazione dei crediti determinata dalla procedura fallimentare” (Cass. Civ., Sez. I, 12.10.2007, n. 21430).

4) tuttavia, invertendo la precedente interpretazione dell’art 62 comma 2 l.f. la sentenza Cass n 903/08, ha riconosciuto il regresso anche al fideiussore che ha pagato dopo il fallimento, e ciò sul presupposto che il rapporto è sorto anteriormente al fallimento anche se il pagamento è effettuato dopo (“il credito di regresso del fideiussore che abbia interamente soddisfatto il creditore dopo la dichiarazione di fallimento del debitore principale, è un credito concorsuale perché trova la sua origine in un momento anteriore al fallimento e può essere insinuato al passivo determinando l’esclusione del creditore soddisfatto” Cass. Civ., Sez. I, 17.01.2008, n. 903).

La giurisprudenza attuale, conferma il nuovo indirizzo, stabilendo che “il principio della cristallizzazione della massa passiva non impedisce, di regola, la sostituzione del credito spettante, in via di surrogazione o regresso, al coobbligato solidale, il quale abbia pagato in data successiva alla dichiarazione di fallimento del debitore principale, operando il pagamento come causa estintiva del credito vantato da quest’ultimo nei confronti del debitore principale, con la conseguente esclusione di qualsiasi duplicazione di crediti …omissis… l’art. 61, 2 comma, l.fall., il quale costituisce una norma speciale che introduce un’eccezione al principio dell’opponibilità al creditore comune dei pagamenti parziali ricevuti, nel subordinare l’esercizio dell’azione di rivalsa alla condizione che il creditore comune sia stato soddisfatto per l’intero credito ove il pagamento sia effettuato successivamente alla dichiarazione di fallimento, detta una disposizione applicabile non solo all’azione di regresso, specificamente contemplata dalla norma in esame, ma anche a quella di surrogazione, posto che, ai fini dell’ammissibilità tanto della surrogazione, quanto del regresso, ciò che rileva non è la circostanza che attraverso il pagamento il coobbligato abbia totalmente assolto la propria obbligazione, ma che l’adempimento risulti integrale ex parte creditoris, cioè idoneo ad estinguere la pretesa che il creditore comune abbia insinuato o possa insinuare al passivo del fallimento” (Cass. Civ., Sez. I, 01.03.2012, n. 3216).

5) è, invece, vietata la domanda di credito condizionale, in quanto, la condizione è un evento futuro incerto, mentre il pagamento è legato alla volontà del debitore.

Pertanto, “l’insinuazione al passivo del credito del coobbligato può aver luogo solo se e nella misura in cui sia già avvenuto il pagamento, che configura il fatto costitutivo del diritto al regresso o della modifica in sede di surrogazione o della sua assunzione, nel rapporto principale, della veste di unico creditore, in quanto l’ammissione al passivo dei crediti con riserva esige una situazione soggettiva non dispiegabile con pienezza soltanto per difetto di elementi accidentali esterni, diversi dal pagamento futuro al creditore comune” (Cass. Civ., Sez. I, 11.01.2013, n. 613).

6) inoltre, l’art 63 l.f. prevede un’eccezione permettendo al fideiussore del fallito, il quale abbia pegno o ipoteca sui suoi beni, di proporre domanda condizionale, con ciò rafforzando la regola principale che ne pone il divieto in assenza di tali garanzia reale.

7) il coobbligato adempiente dispone di due distinti mezzi di tutela:

  1. i) l’azione surrogatoria e ii) l’azione di regresso non cumulabili fra loro:

la prima ha titolo derivativo dal preesistente diritto del creditore e comporta una successione dello stesso diritto già spettante al creditore comune – è circoscritta nei limiti di quanto quest’ultimo ha ricevuto in pagamento del suo credito;

la seconda sorge a titolo originario al momento dell’estinzione del diritto del creditore comune, sommandosi come vicenda novativa che dà luogo ad un diritto nuovo e autonomo con un contenuto eventualmente più ampio, in relazione alle condizioni stabilite nel rapporto obbligatorio costituito fra gli stessi con il debitore

Attenzione: L’orientamento giurisprudenziale largamente prevalente propende per la inopponibilità alla massa dell’annotazione in surroga sull’ipoteca effettuata dopo la dichiarazione di fallimento, in considerazione della sua natura costitutiva che, dunque, non può essere opposta alla massa, ex art 45 l.f., se annotata successivamente al fallimento.

Perciò, “l’annotazione del trasferimento dell’ipoteca, a norma dell’art. 2843 c.c., ha valore costitutivo e si configura perciò come un elemento integrativo indispensabile della fattispecie; ne consegue che il trasferimento dell’ipoteca a favore del creditore che abbia soddisfatto (nella specie, in forza di obbligazione fideiussoria) il credito munito di prelazione è inefficace nei confronti dei creditori concorrenti, ove non sia stata effettuata l’annotazione della surrogazione” (Cass. Civ., Sez. I, 21.03.2003, n. 4137; (Cass. Civ., Sez. I, 12.09.1997, n. 9023).

8) non è ammissibile la surrogazione parziale, ex articolo 1205 c.c., in quanto, si porrebbe in aperto conflitto con il disposto dell’articolo 61 comma 1.

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Art 62 l.f.

L’art. 62, co 1, l.f. prevede che il creditore soddisfatto parzialmente prima del fallimento abbia diritto di concorrere per la parte non riscossa: richiama l’art 1292 c.c. secondo cui l’adempimento da parte di uno libera gli altri.

Detto disposto vale, soltanto, nel caso in cui il pagamento parziale sia avvenuto prima della dichiarazione di fallimento, in quanto, se avvenuto dopo autorizza il creditore a mantenere intatta la propria domanda di credito.

L’art. 62 co 2, l.f. prevede che il coobbligato che abbia parzialmente soddisfatto il creditore prima del fallimento possa concorrere nel fallimento degli altri coobbligati per la somma pagata: il disposto costituisce eccezione alla regola generale prevista dall’ art. 1299 c.c., giacché, in questo caso, non è necessario soddisfare integralmente il creditore per esercitare il regresso, ma è sufficiente che il soddisfacimento sia avvenuto anche parzialmente prima del fallimento.

Il secondo rilievo riguarda la misura dell’insinuazione del credito di regresso che potrà riguardare soltanto la parte di debito pagata in eccedenza rispetto alla quota posta a suo carico.

Ciò non vale per il diritto di regresso del fideiussore, dato che nell’ambito della solidarietà, cosiddetta unisoggettiva, che caratterizza il rapporto interno della garanzia fideiussoria (a differenza di quanto accade al coobbligato nelle obbligazioni plurisoggettive), l’obbligazione grava per intero sul debitore principale (art. 1950 c.c.) e, perciò, il fideiussore non è deputato a sopportare l’insolvenza del debitore principale.

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Art 63 l.f.

Nel caso in cui il regresso sia assistito da garanzia reale il coobbligato può esercitare il proprio diritto, indipendentemente dall’adempimento dell’obbligazione nei confronti del creditore, fermo restando che quest’ultimo ha il diritto di soddisfarsi sul ricavato della vendita dei beni.

Il coobbligato o fideiussore partecipa al concorso solo con riferimento al ricavato dei beni oggetto della garanzia, e non sul ricavato di tutti i beni del fallito, come è, invece, per i creditori ipotecari o pignoratizi del fallito i quali per la parte non soddisfatta trovano, comunque, collocazione chirografaria.

  1. Cass. civ., Sez. I, 23-06-2008, n. 17033.Il curatore del fallimento, quando agisce ai fini della reintegrazione del patrimonio del fallito, esercita un’azione di massa e svolge un’attività distinta ed autonoma rispetto a quella che avrebbe potuto svolgere il fallito stesso, ponendosi perciò necessariamente nella posizione di terzo; allorché egli eserciti l’azione di responsabilità contro gli amministratori della società fallita (art. 146, 2º comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267), secondo le norme degli art. 2392 e 2393 c.c., il contenuto delle azioni contemplate dai detti articoli diventa inscindibile, onde è irrilevante la questione relativa all’asserita conformità dell’operato (anche se illegittimo) dell’amministratore della società fallita alla volontà espressa dai soci del tempo, non essendo tale volontà opponibile al curatore.
  2. In sostanza al curatore rimane il potere di disporre e portare a compimento la vendita in sede concorsuale degli immobili soggetti al potere dei creditori fondiari di iniziare o proseguire l’azione esecutiva individuale in pendenza di fallimento e ciò senza dover attendere l’esito della procedura esecutiva, e tale organo, purché non trovi l’ostacolo della vendita già disposta nell’espropriazione individuale, si comporterà come se la procedura esecutiva individuale non esistesse, seguendo le ordinarie regole fallimentari sulla liquidazione, che non richiedono particolari autorizzazioni da parte del giudice delegato, ma l’approvazione da parte del comitato dei creditori, del programma di liquidazione e l’autorizzazione di conformità del giudice di cui all’ultimo comma dell’art. 104 ter.
  3. Per conoscere a quali interessi arretrati si estende la prelazione soccorre il secondo comma dell’art. 2855 c.c. che precisa che la prelazione è limitata “alle due annate anteriori e a quella in corso al momento del pignoramento, ancorché sia stata pattuita l’estensione della prelazione ad un maggior numero di annualità”. Le annate in massimo garantite sono, quindi, 3: quella in corso al momento del fallimento e le 2 anteriori, anche in presenza di una diversa e più favorevole pattuizione per il creditore, avendo voluto il legislatore impedire che il creditore primo iscritto, coperto dalla garanzia, lasci accumulare gli interessi senza esigerli, frustrando, così, magari in collusione con il debitore, le aspettative dei creditori di grado successivo, i quali misurano la capienza dell’immobile, fidando sulla regolare riscossione degli interessi.Essendo pacifica l’equiparazione del fallimento al pignoramento, il problema è come intendere l’espressione “annata in corso”; ossia, se essa coincida con l’anno solare nel corso del quale è intervenuta la dichiarazione di fallimento o con l’annata decorrente tra la data di inizio del debito per interessi e quella di scadenza, nel corso della quale interviene la dichiarazione di fallimento.La giurisprudenza si è orientata verso questa seconda opzione interpretativa, nel senso, cioè, che il calcolo va compiuto secondo l’annata contrattuale anziché solare (Trib. Padova 17/10/2005 in Giur. merito 2006, 9, 1933; Trib. Padova 17/05/2004, in Il fall. 2004, 2224; Cass. 26/04/1999 n. 4124; Cass. 3/04/1992 n. 4079). Trattandosi della regolamentazione di annata di interessi, l’anno o l’annata in corso al momento della dichiarazione di fallimento è logicamente riferibile all’anno pendente rispetto al momento iniziale del corso degli interessi.Applicando questo criterio all’ipotesi che la data dell’inizio dell’annata contrattuale sia quella del 30.7.2007 e che il fallimento sia stato dichiarato l’1.6.2012, l’annata in corso è quella che va dall’1.6.2012 al 30.7.2011, e le altre due precedenti quelle dal 30.7.2011 al 30.7.2010; ossia vanno prese in considerazione le ultime tre annate contrattuali, solo che la terza si ferma alla data della dichiarazione di fallimento, anche se secondo altra interpretazione proseguirebbe anche dopo fino alla scadenza contrattuale.Per quanto riguarda il tasso di interessi quelli dei tre anni in questione da collocare in via ipotecaria vanno calcolati in via convenzionale e quelli dopo la dichiarazione di fallimento o dopo il compimento dell’annata in corso alla data di dichiarazione di fallimento, vanno collocati, sempre in via ipotecaria, nello stesso grado del capitale, ma “nella misura legale”. Infatti l’inciso “salvo quanto disposto…” contenuto nell’art. 55 l.f. inerisce non all’estensione della prelazione, ma alla maturazione degli interessi, quale elemento di delimitazione della deroga alla sospensione del loro corso, nel senso che i crediti assistiti da ipoteca, pegno o privilegio continuano a produrre interessi dopo la dichiarazione di fallimento, ma solo nei limiti delle norme richiamate dal terzo comma dell’art. 54.


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